IERI L'ALTRO, DI UN ANNO FA (2005)


Rivederla così non era stato per niente bello. Aveva ancora i capelli raccolti allo stesso modo, ma gli occhi avevano irrimediabilmente perduto la luce di un tempo, per non parlare del sorriso. Rovistò nella valigetta e ne trasse alcuni strumenti, mentre in testa gli ronzava sempre quel pezzo disco.
Chissà perchè abbinava il suo viso a quella canzone.
Era un pezzo desolatamente brutto, di qualche estate prima. Forse quando l’aveva conosciuta alla radio davano proprio quella canzone, oppure chissà, quali altri percorsi aveva fatto quella comunanza. Fatto sta che ogni volta che la sentiva, quel viso, quegli occhi gli apparivano davanti, come se l’avesse appena lasciata camminare per la sua strada, su quel marciapiede affollato.
Ieri l’altro, di un anno fa.
Caldo.
Sì, era caldo, quell’agosto e lei gli era davvero passata a fianco, senza guardarlo, mentre sbirciava con aria assente le vetrine che cominciavano ad essere riaperte dopo le ferie estive. Non aveva potuto fare a meno di notarla perchè con la borsa, una di quelle piccole a tracolla, probabilmente piena di mattoni o chissà cosa, lo aveva colpito al fianco mentre passava.
Oh, scusa.
Di niente.
E lei era passata oltre.
Quante volte era successo, che quella che avevi notato già in fondo alla strada ti passasse vicino, dieci, venti centimetri, tanto da assaporarne il profumo disperdersi nell’aria calda e non fare nulla per stabilire un contatto, quel qualcosa che desideravi tanto da averne paura. Sarebbe successo lo stesso, anche stavolta, e sarebbe tornato a casa ancora con quel rimpianto, con quel carico di se che spesso gli facevano cattiva compagnia nelle serate davanti alla tv.
Fu tutt’uno con il pensiero che invece di restare lì come al solito, accelerò il passo, la raggiunse e la chiamò.
Scusa...
Lei si voltò. In tutti i suoi pensieri a questa fase seguiva sempre quella del rifiuto. Nella migliore delle ipotesi aleggiava un imbarazzato “scusami ma ho fretta” che bruciava sulla pelle della faccia come uno schiaffo, e lui, istintivamente si ritrasse.
-Sì? -Rispose invece lei, con un sorriso.
Non si può descrivere un sorriso così. Almeno, lui anche ripensandoci non ci riusciva proprio. Bastava solo ripensarci e quella canzone, bruttina, risuonava nella mente e quel sorriso si apriva di fronte ai suoi occhi. Avrebbe voluto dirle che appena l’aveva vista aveva capito che da lì a sette minuti si sarebbe innamorato perdutamente, che era la ragazza più bella che avesse mai visto e che niente e nessuno per lui valeva più di un centesimo al suo confronto, ma altre mille banalità da rotocalco gli si affollarono sulla punta della lingua, tanto che una, la prima, perse l’equilibrio e cadde sul marciapiede.
Buttò gli occhi a terra, e poi più giù, fra la polvere e le grate di qualche scantinato sotto la strada e poi a scavare. E sentì quella frase, maledetta e uscita da chissà dove che diceva niente, scusami, mi sono confuso, credevo fossi un’altra persona e altre stupidate del genere.
Lei accennò col capo un segno d’assenso, senza dire nulla. Poi si voltò e si allontanò, per sempre e un po’ imbarazzata, fra le altre persone che affollavano la strada.

Cos’ha, ispettore? Si sente male? Gli chiese l’agente in divisa.
La scena del delitto era delimitata dal solito nastro giallo e nero, che percorreva il perimetro di un rettangolo irregolare, sulla spiaggia libera colma di cartacce da fine stagione.
-Niente, scusami. E’ che questa donna l’ho conosciuta, tanto tempo fa. -
-E come si chiamava? -
-Non lo so.- Sospirò.
Come faceva a dire che di lei ricordava solo una canzone?
-Mi spiace, ma non lo so proprio. -

 

FINE



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