Rivederla così non era stato per niente bello. Aveva ancora
i capelli raccolti allo stesso modo, ma gli occhi avevano irrimediabilmente
perduto la luce di un tempo, per non parlare del sorriso. Rovistò
nella valigetta e ne trasse alcuni
strumenti, mentre in testa gli ronzava sempre quel pezzo
disco.
Chissà perchè abbinava il suo viso a quella canzone.
Era un pezzo desolatamente
brutto, di qualche estate prima. Forse quando l’aveva conosciuta
alla radio davano proprio quella canzone, oppure chissà,
quali altri percorsi aveva fatto quella comunanza. Fatto sta che
ogni volta che la sentiva, quel viso, quegli occhi gli apparivano
davanti, come se l’avesse appena lasciata camminare per la
sua strada, su quel marciapiede affollato.
Ieri l’altro, di un anno fa.
Caldo.
Sì, era caldo, quell’agosto e lei gli era davvero passata
a fianco, senza guardarlo, mentre sbirciava con aria assente le
vetrine che cominciavano ad essere riaperte dopo le ferie estive.
Non aveva potuto fare a meno di notarla perchè con la borsa,
una di quelle piccole a tracolla, probabilmente piena di mattoni
o chissà cosa, lo aveva colpito al fianco mentre passava.
Oh, scusa.
Di niente.
E lei era passata oltre.
Quante volte era successo, che quella che avevi notato già
in fondo alla strada ti passasse vicino, dieci, venti centimetri,
tanto da assaporarne il profumo disperdersi nell’aria calda
e non fare nulla per stabilire un contatto, quel qualcosa che desideravi
tanto da averne paura. Sarebbe successo lo stesso, anche stavolta,
e sarebbe tornato
a casa ancora con quel rimpianto, con quel carico di se che spesso
gli facevano cattiva
compagnia nelle serate davanti alla tv.
Fu tutt’uno con il pensiero che invece di restare lì
come al solito, accelerò il passo, la raggiunse e la chiamò.
Scusa...
Lei si voltò. In tutti i suoi pensieri a questa fase seguiva
sempre quella del rifiuto. Nella migliore delle ipotesi aleggiava
un imbarazzato “scusami ma ho fretta” che bruciava sulla
pelle della faccia come uno schiaffo, e lui, istintivamente si ritrasse.
-Sì? -Rispose invece lei, con un sorriso.
Non si può descrivere un sorriso così. Almeno, lui
anche ripensandoci non ci riusciva proprio. Bastava solo ripensarci
e quella canzone, bruttina, risuonava nella mente e quel sorriso
si apriva di fronte ai suoi occhi. Avrebbe voluto dirle che appena
l’aveva vista aveva capito che da lì a sette minuti
si sarebbe innamorato perdutamente, che era la ragazza più
bella che avesse mai visto e che niente e nessuno per lui valeva
più di un centesimo al suo confronto, ma altre mille banalità
da rotocalco gli si affollarono sulla punta della lingua, tanto
che una, la prima, perse l’equilibrio e cadde sul marciapiede.
Buttò gli occhi a terra, e poi più giù, fra
la polvere e le grate di qualche scantinato sotto la strada e poi
a scavare. E sentì quella frase, maledetta e uscita da chissà
dove che diceva niente, scusami, mi sono confuso, credevo fossi
un’altra persona e altre stupidate del genere.
Lei accennò col capo un segno d’assenso, senza dire
nulla. Poi si voltò e si allontanò, per sempre e un
po’ imbarazzata, fra le altre persone che affollavano la strada.
Cos’ha, ispettore? Si sente male? Gli chiese l’agente
in divisa.
La scena del delitto era delimitata dal solito nastro giallo e nero,
che percorreva il perimetro
di un rettangolo irregolare, sulla spiaggia libera colma di cartacce
da fine stagione.
-Niente, scusami. E’ che questa donna l’ho conosciuta,
tanto tempo fa. -
-E come si chiamava? -
-Non lo so.- Sospirò.
Come faceva a dire che di lei ricordava solo una canzone?
-Mi spiace, ma non lo so proprio. -