ATTENZIONE: Il racconto che segue presenta situazioni e immagini adatte ad un lettore adulto

SENTENZA (2004)

Quando si sentì chiedere se voleva scegliere la propria punizione, quasi non credette alle proprie orecchie: aveva sentito parlare della severità del Tribunale ed era stato preso con le mani ancora attorno al collo di lei, quindi tutto si aspettava fuorchè quella domanda.
Ricordava il suo sguardo. Oddìo, quello sguardo.
E il rantolo. Quell’orribile sibilo e la sua lingua gonfia che si era lacerata sui denti e le mani che lo avevano graffiato, nel disperato tentativo di fermare la sua furia. Ma nemmeno un carro armato avrebbe potuto dissuaderlo dal cancellare dalla sua mente il sorriso beffardo che gli aveva rivolto quando, insospettito dal suo ritardo, era andato a cercarla e l’aveva trovata.
Perchè a volte non si ascolta quella vocina che ti dice di non pensarci?
Non aveva nemmeno accennato a chiudersi la camicetta. No, l’aveva guardato e aveva sorriso. E il tipo che era con lei si era scostato e si era tirato su i pantaloni, dicendo una serie di sciocchezze che lui non aveva nemmeno sentito. Si voltò solo un momento, in tempo per vedere l’uomo che usciva dall’auto e che scappava, abbottonandosi i calzoni. Chi mai poteva essere? Scoprì che in quel momento non gli importava. La sola cosa che vedeva davanti a sè era quel sorriso, che adesso si stava tramutando in un ghigno di paura.
Aspetta...
No. perchè aspettare? Cosa c’era da capire in più? Cosa avrebbe potuto spiegargli?
No!
Le sue mani si mossero da sole. Veloci e possenti. Le afferrarono il braccio e la tirarono fuori dalla macchina e sembrava che niente potesse fermarle.
Ti prego...
Il suo viso, ora aveva un’espressione di puro terrore. Il suo bel viso dal rossetto sbavato. E i suoi seni. Mio Dio, i suoi seni. Perchè?
La destra si mosse da sola, senza avvisare.
Vide il suo viso sparire in una nuvola di capelli biondi, mentre lei scivolava lungo la portiera, cercando un appiglio con le mani simili ad artigli.
Basta, ti prego...
Fu la volta della sinistra. Afferrò i capelli e la tirò sù. Mio Dio... Piangeva. La cosa lo fece imbestialire e la destra colpì di nuovo. Secca. Un rivolo di sangue cominciò a colare dal naso e a sporcarle la camicetta, mischiandosi alle lacrime.
A... Aiuto...
AIUTO!!!

Aiuto? Non ti serviva aiuto dieci minuti fa, quando quello stronzo ti apriva la camicetta, vero?
Le due mani si mossero all’unisono e si strinsero intorno a quel collo che aveva baciato, che aveva accarezzato e adorato per anni. Ma lei continuava a gridare e allora la spinse violentemente contro il tetto della macchina, facendole battere la nuca più volte. La cosa strana e agghiacciante di quel momento è il ricordo che gli rimase, legato al fatto che sotto ai colpi della sua testa, la lamiera dell’auto non si ammaccò.
Gli occhi di lei allora ebbero un guizzo finale e si ficcarono nei suoi mentre le si spegneva l’ultimo rantolo in gola. Poi la sirena della volante, uno sparo e il buio.


Il tipo era scappato, ma si era fermato dietro l’angolo. Se fosse stato meno vigliacco avrebbe chiamato la polizia prima, oppure lo avrebbe affrontato faccia a faccia, lasciandole il tempo e il modo di allontanarsi. Ma si nascose dietro l’angolo e solo dopo alcuni minuti si ricordò del telefono e chiamò aiuto.
Stronzo.
Troppo tardi, almeno per lei.
All’ospedale quando si risvegliò gli comunicarono di essere accusato di omicidio e che presto avrebbe avuto il processo. Gli dissero anche che siccome lo avevano beccato con le mani sporche di sangue e che c’erano testimoni sufficienti ad inchiodare un santo, poteva già mettersi il cuore in pace e che sarebbe stato condannato a morte.
E lui non c’aveva trovato niente da ridire.
E ora quel giudice gli stava chiedendo cosa avrebbe preferito.
Era sbalordito.
Aveva passato le ultime notti sveglio, al solo pensiero della punizione che lo attendeva in fondo a quel corridoio, e ora quell’uomo con i capelli bianchi, con molta cortesia, gli stava chiedendo cosa preferisse?
Gli tornarono alla mente gli occhi di lei. Gli occhi della donna che aveva sempre amato e che lui aveva chiuso per sempre e questa volta fu il suo cuore a parlare. Il massimo della pena, si sentì dire. Poi lo ripetè, come a convincere soprattutto quell’uomo che alle sue parole era trasalito dietro al suo scranno.
Ne è sicuro?
Come sarebbe a dire se ne sono sicuro? Che domanda è? Pensò. Ma disse semplicemente sì.
Il giudice abbassò gli occhi, poi battè il martello di legno un paio di volte e lo congedò.
Fu portato fuori dall’aula e caricato su un cellulare senza finestre. Dopo alcuni minuti che gli parvero eterni, una guardia gli aprì lo sportello, gli liberò le mani dalle manette e lo condusse verso una casa che sembrava uscita da una rivista.
Cosa succede?
Gli mostrarono il giardino sul retro, del tutto privo di steccati e successivamente gli fecero visitare l’interno, arredato sobriamente ma con gusto.
Posso sedermi sul divano?
Gli uomini gli fecero cenno con la testa, senza parlare. Poi lo salutarono, gli ricordarono che una volta alla settimana sarebbero venuti a portare provviste e a ritirare la biancheria sporca e uscirono parlottando.
Dov’era il trucco? Cosa significava tutto questo?
Uscì e cominciò a girare intorno alla casa in cerca di telecamere e sistemi di allarme, ma non vide nulla. Aveva solo quella specie di braccialetto alla caviglia. Sistemi moderni... Sicuramente era un qualcosa che segnalava la sua presenza ovunque fosse.
Era turbato.
Era stato condannato alla pena peggiore, il massimo. E l’aveva chiesto lui. Perfino il giudice aveva cambiato espressione al momento della sentenza e un vago senso di inquietudine cominciò a risalirgli lungo la schiena, anche se non riusciva a darle un aspetto preciso. Ripensò agli occhi di lei e si sedette sui gradini della porta principale.
Si prese la testa fra le mani e si chiese dove fosse la giustizia in tutto quanto.
Tornò in casa e aperta una scatoletta di tonno e una di conserva di frutta sciroppata cenò velocemente, e con la mente turbata si mise a letto, intontito da un’improvvisa stanchezza.
Un forte colpo alla porta lo destò poco dopo, quando era finalmente riuscito a scivolare in un sonno più profondo. L’aveva sognato? Un secondo colpo, ancora più forte del primo gli confermò che non si era sbagliato, così mentre un terzo colpo fece vibrare la porta sui cardini, scese da letto e si accostò alla finestra.
Un gruppo numeroso di persone vestite come in un film western stava vociando di fronte alla sua porta. Molti di loro avevano una torcia e uno, col cappello nero, aveva in mano una corda.
Non è possibile...
Il quarto colpo, squassante, fu la porta che cedette e quel gruppo di scalmanati gli si gettò addosso. Cercò di fuggire al piano di sopra ma mille mani lo afferrarono e lo inchiodarono sul pavimento. Poi lo girarono sulla pancia e gli legarono le mani dietro a schiena.
Cosa volete?
Risate.
Poi la corda gli fu messa al collo, fu rialzato a forza e trascinato fuori.
Non è possibile...
NO!!
Qualcuno gli disse che avrebbe pregato per lui.
Ma aspettate...
Gridò con tutto il fiato che aveva.
La corda non si strinse subito del tutto mentre veniva sollevato e appeso a quel ramo. Il fiato gli si bloccò e sentì gli occhi che gli schizzavano fuori dalle orbite. Ma la morte non arrivava e poteva vedere come in un film amatoriale le facce dei suoi aguzzini che lo guardavano alzando le fiaccole per scorgere l’espressione di orrore dipinta sul suo volto stravolto.
Linciaggio.
Passò ancora qualche interminabile minuto d’inferno prima che riuscisse a perdere i sensi e finire finalmente di rantolare.

Si svegliò ancora nel suo letto. Aveva la gola secca e dolente e capì di avere urlato davvero, poi si volse verso la sveglia e notò che erano passati solo dieci minuti da quando l’aveva guardata l’ultima volta. Cercò di rilassarsi e ci riuscì solo dopo un paio d’ore, durante le quali non aveva smesso un attimo di tremare.
Un sogno, un fottutissimo brutto sogno, ma sembrava così reale che solo a ripensarci gli vennero i brividi.
Richiuse gli occhi e lentamente, con fatica, ricominciò ad assopirsi, ma li riaprì quasi subito: qualcosa si era mosso ai piedi del suo letto. Non era stata un’illusione: il movimento c’era stato e aveva proiettato la sua ombra sul muro vicino all’armadio.
Cos’è?
Con il cuore in gola si ritrasse verso la spalliera del letto, cercando con lo sguardo qualcosa da afferrare per difendersi, quando il movimento cominciò a strisciare sulla coperta, sicuro, con una velocità che non gli dette il tempo nemmeno di provare a scendere. Quella cosa si alzò come un gioco di prestigio dopo essersi fermata a mezzo metro da lui.
Un cobra reale?
La bestia ondeggiò leggermente, prima di sferrare l’attacco, poi saettò e lo morse sul naso. Per un millisecondo potè sentirne il fiato fetido.
Freddo.
Aveva sempre odiato i serpenti e ogni volta che ci pensava provava un senso di orrore e repulsione. Il rettile si riabbassò e stette a guardarlo come ad attendere la sua morte.
Lui ricambiò lo sguardo, poi cominciò ad avere difficoltà di respirazione e il cuore in aritmia.
E’ così allora che si muore?...
Orrore e terrore insieme. La vista cominciò ad annebbiarsi e il cobra si fece avanti, come a reclamare la preda.
L’ultima cosa che vide fu la coda del serpente che gli girava dietro la schiena sudata e fredda. Poi fu ancora il buio.

Il pavimento era freddo sotto la sua guancia quando aprì gli occhi. Si irrigidì senza muovere un solo muscolo e cominciò a scandagliare tutto quello che poteva vedere nell’oscurità senza muovere la testa, mentre il sudore gli colava negli occhi e glieli bruciava. Il cuore martellava nel petto come se volesse uscire e fu solo allora che comprese l’espressione del giudice e il suo rammarico sincero per la scelta fatta.
“Cosa preferisce?”
“Il massimo della pena”
“Ne è sicuro?”
Massimo della pena.
Pianse.
Piangeva perchè aveva capito. Aveva capito perchè il Tribunale aveva quella fama di severità rigida e inflessibile, fatta per impartire punizioni al di fuori della comprensione e della comune conoscenza.
L’incubo può essere la peggiore espressione della psiche umana. Peggio di qualunque realtà, poichè non è legato a nessun tipo di relazione con il possibile e in quanto tale non ha limiti. E il prigioniero numero 548879 ora lo sapeva e attendeva con terrore il prossimo colpo di sonno.


FINE

back