Quando si sentì chiedere
se voleva scegliere la propria punizione, quasi non credette alle
proprie orecchie: aveva sentito parlare della severità del
Tribunale ed era stato preso con le mani ancora attorno al collo
di lei, quindi tutto si aspettava fuorchè quella
domanda.
Ricordava il suo sguardo. Oddìo, quello sguardo.
E il rantolo. Quell’orribile sibilo e la sua lingua gonfia
che si era lacerata sui denti e le mani che lo avevano graffiato,
nel disperato tentativo di fermare la sua furia. Ma nemmeno un carro
armato avrebbe potuto dissuaderlo dal cancellare dalla sua mente
il sorriso beffardo che gli aveva rivolto quando, insospettito dal
suo ritardo, era andato a cercarla e l’aveva trovata.
Perchè a volte non si ascolta quella vocina che ti dice di
non pensarci?
Non aveva nemmeno accennato a chiudersi la camicetta. No, l’aveva
guardato e aveva sorriso. E il tipo che era con lei si era scostato
e si era tirato su i pantaloni, dicendo una serie di sciocchezze
che lui non aveva nemmeno sentito. Si voltò solo un momento,
in tempo per vedere l’uomo che usciva dall’auto e che
scappava, abbottonandosi i calzoni. Chi mai poteva essere? Scoprì
che in quel momento non gli importava. La sola cosa che vedeva davanti
a sè era quel sorriso, che adesso si stava tramutando in
un ghigno di paura.
Aspetta...
No. perchè aspettare? Cosa c’era da capire in più?
Cosa avrebbe potuto spiegargli?
No!
Le sue mani si mossero da sole. Veloci e possenti. Le afferrarono
il braccio e la tirarono fuori dalla macchina e sembrava che niente
potesse fermarle.
Ti prego...
Il suo viso, ora aveva un’espressione di puro terrore. Il
suo bel viso dal rossetto sbavato. E i suoi seni. Mio Dio, i suoi
seni. Perchè?
La destra si mosse da sola, senza avvisare.
Vide il suo viso sparire in una nuvola di capelli biondi, mentre
lei scivolava lungo la portiera, cercando un appiglio con le mani
simili ad artigli.
Basta, ti prego...
Fu la volta della sinistra. Afferrò i capelli e la tirò
sù. Mio Dio... Piangeva. La cosa lo fece imbestialire e la
destra colpì di nuovo. Secca. Un rivolo di sangue cominciò
a colare dal naso e a sporcarle la camicetta, mischiandosi alle
lacrime.
A... Aiuto...
AIUTO!!!
Aiuto? Non ti serviva aiuto dieci minuti fa, quando quello stronzo
ti apriva la camicetta, vero?
Le due mani si mossero all’unisono e si strinsero intorno
a quel collo che aveva baciato, che aveva accarezzato e adorato
per anni. Ma lei continuava a gridare e allora la spinse violentemente
contro il tetto della macchina, facendole battere la nuca più
volte. La cosa strana e agghiacciante di quel momento è il
ricordo che gli rimase, legato al fatto che sotto ai colpi della
sua testa, la lamiera dell’auto non si ammaccò.
Gli occhi di lei allora ebbero un guizzo finale e si ficcarono nei
suoi mentre le si spegneva l’ultimo rantolo in gola. Poi la
sirena della volante, uno sparo e il buio.
Il tipo era scappato, ma si era fermato dietro l’angolo. Se
fosse stato meno vigliacco avrebbe chiamato la polizia prima, oppure
lo avrebbe affrontato faccia a faccia, lasciandole il tempo e il
modo di allontanarsi. Ma si nascose dietro l’angolo e solo
dopo alcuni minuti si ricordò del telefono e chiamò
aiuto.
Stronzo.
Troppo tardi, almeno per lei.
All’ospedale quando si risvegliò gli comunicarono di
essere accusato di omicidio e che presto avrebbe avuto il processo.
Gli dissero anche che siccome lo avevano beccato con le mani sporche
di sangue e che c’erano testimoni sufficienti ad inchiodare
un santo, poteva già mettersi il cuore in pace e che sarebbe
stato condannato a morte.
E lui non c’aveva trovato niente da ridire.
E ora quel giudice gli stava chiedendo cosa avrebbe preferito.
Era sbalordito.
Aveva passato le ultime notti sveglio, al solo pensiero della punizione
che lo attendeva in fondo a quel corridoio, e ora quell’uomo
con i capelli bianchi, con molta cortesia, gli stava chiedendo cosa
preferisse?
Gli tornarono alla mente gli occhi di lei. Gli occhi della donna
che aveva sempre amato e che lui aveva chiuso per sempre e questa
volta fu il suo cuore a parlare. Il massimo della pena, si sentì
dire. Poi lo ripetè, come a convincere soprattutto quell’uomo
che alle sue parole era trasalito dietro al suo scranno.
Ne è sicuro?
Come sarebbe a dire se ne sono sicuro? Che domanda è? Pensò.
Ma disse semplicemente sì.
Il giudice abbassò gli occhi, poi battè il martello
di legno un paio di volte e lo congedò.
Fu portato fuori dall’aula e caricato su un cellulare senza
finestre. Dopo alcuni minuti che gli parvero eterni, una guardia
gli aprì lo sportello, gli liberò le mani dalle manette
e lo condusse verso una casa che sembrava uscita da una rivista.
Cosa succede?
Gli mostrarono il giardino sul retro, del tutto privo di steccati
e successivamente gli fecero visitare l’interno, arredato
sobriamente ma con gusto.
Posso sedermi sul divano?
Gli uomini gli fecero cenno con la testa, senza parlare. Poi lo
salutarono, gli ricordarono che una volta alla settimana sarebbero
venuti a portare provviste e a ritirare la biancheria sporca e uscirono
parlottando.
Dov’era il trucco? Cosa significava tutto questo?
Uscì e cominciò a girare intorno alla casa in cerca
di telecamere e sistemi di allarme, ma non vide nulla. Aveva solo
quella specie di braccialetto alla caviglia. Sistemi moderni...
Sicuramente era un qualcosa che segnalava la sua presenza ovunque
fosse.
Era turbato.
Era stato condannato alla pena peggiore, il massimo. E l’aveva
chiesto lui. Perfino il giudice aveva cambiato espressione al momento
della sentenza e un vago senso di inquietudine cominciò a
risalirgli lungo la schiena, anche se non riusciva a darle un aspetto
preciso. Ripensò agli occhi di lei e si sedette sui gradini
della porta principale.
Si prese la testa fra le mani e si chiese dove fosse la giustizia
in tutto quanto.
Tornò in casa e aperta una scatoletta di tonno e una di conserva
di frutta sciroppata cenò velocemente, e con la mente turbata
si mise a letto, intontito da un’improvvisa stanchezza.
Un forte colpo alla porta lo destò poco dopo, quando era
finalmente riuscito a scivolare in un sonno più profondo.
L’aveva sognato? Un secondo colpo, ancora più forte
del primo gli confermò che non si era sbagliato, così
mentre un terzo colpo fece vibrare la porta sui cardini, scese da
letto e si accostò alla finestra.
Un gruppo numeroso di persone vestite come in un film western stava
vociando di fronte alla sua porta. Molti di loro avevano una torcia
e uno, col cappello nero, aveva in mano una corda.
Non è possibile...
Il quarto colpo, squassante, fu la porta che cedette e quel gruppo
di scalmanati gli si gettò addosso. Cercò di fuggire
al piano di sopra ma mille mani lo afferrarono e lo inchiodarono
sul pavimento. Poi lo girarono sulla pancia e gli legarono le mani
dietro a schiena.
Cosa volete?
Risate.
Poi la corda gli fu messa al collo, fu rialzato a forza e trascinato
fuori.
Non è possibile...
NO!!
Qualcuno gli disse che avrebbe pregato per lui.
Ma aspettate...
Gridò con tutto il fiato che aveva.
La corda non si strinse subito del tutto mentre veniva sollevato
e appeso a quel ramo. Il fiato gli si bloccò e sentì
gli occhi che gli schizzavano fuori dalle orbite. Ma la morte non
arrivava e poteva vedere come in un film amatoriale le facce dei
suoi aguzzini che lo guardavano alzando le fiaccole per scorgere
l’espressione di orrore dipinta sul suo volto stravolto.
Linciaggio.
Passò ancora qualche interminabile minuto d’inferno
prima che riuscisse a perdere i sensi e finire finalmente di rantolare.
Si svegliò ancora nel suo letto. Aveva la gola secca e dolente
e capì di avere urlato davvero, poi si volse verso la sveglia
e notò che erano passati solo dieci minuti da quando l’aveva
guardata l’ultima volta. Cercò di rilassarsi e ci riuscì
solo dopo un paio d’ore, durante le quali non aveva smesso
un attimo di tremare.
Un sogno, un fottutissimo brutto sogno, ma sembrava così
reale che solo a ripensarci gli vennero i brividi.
Richiuse gli occhi e lentamente, con fatica, ricominciò ad
assopirsi, ma li riaprì quasi subito: qualcosa si era mosso
ai piedi del suo letto. Non era stata un’illusione: il movimento
c’era stato e aveva proiettato la sua ombra sul muro vicino
all’armadio.
Cos’è?
Con il cuore in gola si ritrasse verso la spalliera del letto, cercando
con lo sguardo qualcosa da afferrare per difendersi, quando il movimento
cominciò a strisciare sulla coperta, sicuro, con una velocità
che non gli dette il tempo nemmeno di provare a scendere. Quella
cosa si alzò come un gioco di prestigio dopo essersi fermata
a mezzo metro da lui.
Un cobra reale?
La bestia ondeggiò leggermente, prima di sferrare l’attacco,
poi saettò e lo morse sul naso. Per un millisecondo potè
sentirne il fiato fetido.
Freddo.
Aveva sempre odiato i serpenti e ogni volta che ci pensava provava
un senso di orrore e repulsione. Il rettile si riabbassò
e stette a guardarlo come ad attendere la sua morte.
Lui ricambiò lo sguardo, poi cominciò ad avere difficoltà
di respirazione e il cuore in aritmia.
E’ così allora che si muore?...
Orrore e terrore insieme. La vista cominciò ad annebbiarsi
e il cobra si fece avanti, come a reclamare la preda.
L’ultima cosa che vide fu la coda del serpente che gli girava
dietro la schiena sudata e fredda. Poi fu ancora il buio.
Il pavimento era freddo sotto la sua guancia quando aprì
gli occhi. Si irrigidì senza muovere un solo muscolo e cominciò
a scandagliare tutto quello che poteva vedere nell’oscurità
senza muovere la testa, mentre il sudore gli colava negli occhi
e glieli bruciava. Il cuore martellava nel petto come se volesse
uscire e fu solo allora che comprese l’espressione del giudice
e il suo rammarico sincero per la scelta fatta.
“Cosa preferisce?”
“Il massimo della pena”
“Ne è sicuro?”
Massimo della pena.
Pianse.
Piangeva perchè aveva capito. Aveva capito perchè
il Tribunale aveva quella fama di severità rigida e inflessibile,
fatta per impartire punizioni al di fuori della comprensione e della
comune conoscenza.
L’incubo può essere la peggiore espressione della psiche
umana. Peggio di qualunque realtà, poichè non è
legato a nessun tipo di relazione con il possibile e in quanto tale
non ha limiti. E il prigioniero numero 548879 ora lo sapeva e attendeva
con terrore il prossimo colpo di sonno.